SLC CGIL Nazionale

venerdì 11 giugno 2010

Una prima valutazione del Piano industriale RAI



Le linee guida del Piano industriale RAI confermano la volontà del management aziendale di ridimensionare il servizio pubblico radiotelevisivo. E’ un ridimensionamento che riguarda sia il perimetro industriale dell’azienda, sia la sua capacità di competere sul mercato nella produzione di contenuti di qualità. La crisi della RAI, che è insieme economica, culturale, istituzionale ed etica, non trova alcuna risposta adeguata da parte di chi sta dirigendo l’azienda.
La scelta dei vertici è ancora una volta quella di far ricadere sul lavoro i costi di una gestione dissennata che per troppi anni ha moltiplicato le sacche di privilegio, gli sprechi, i mancati investimenti nei settori strategici.
Le linee guida tracciate dalla direzione generale sono semplicemente desolanti.
• Si prende atto della diminuzione degli ascolti televisivi e si riconosce il “peggioramento della qualità del target” (canali generalisti il cui pubblico è sempre più vecchio mentre i giovani sono in fuga verso i canali tematici) ma non si propone nulla per rinnovare un’offerta ormai ripiegata su un’immagine del Paese che non ha alcun riscontro nella realtà dei fatti. Il compito di recuperare audience tra il pubblico più giovane e scolarizzato è delegato ai canali tematici digitali (che attualmente raccolgono il 7%), dimenticando che per i canali in questione non vi sono allo stato le risorse necessarie per produrre ore di programmazione - si tratterebbe dunque di alimentarli con repliche, materiale di magazzino o di archivio, acquisti.
• Si prevede una crescita dell’indebitamento che nel 2012 toccherà, nella migliore delle ipotesi, la cifra record di 200 milioni di euro, tale da sprofondare la RAI in una crisi irrimediabile.
• La voce “costi esterni”, di cui buona parte addebitabile ai costi di produzione, è uno dei punti di maggior criticità, ma la soluzione indicata non prevede in nessun modo un’inversione di tendenza, né sul piano produttivo e ancor meno sul piano editoriale. Si continuerà ad arricchire le società esterne fornitrici di format (la più importante delle quali, Endemol, è di proprietà Mediaset, dunque del nostro principale concorrente); il lavoro interno verrà ancor più sottoutilizzato e la sacca dei precari continuerà a crescere. Là dove sarebbe necessario un piano di graduale ma incisiva riduzione delle programmi di acquisto (commisurato sia sul budget complessivo che sulle ore di programmazione prodotta) si continua invece con una politica editoriale che ha completamente snaturato l’offerta RAI.
• La mission della RAI viene completamente ignorata: non c’è alcun accenno al ruolo ed ai compiti del servizio pubblico. La svolta “commerciale” della RAI, sempre più indistinguibile da Mediaset, viene data per scontata. Il pubblico è solo “target”, per di più definito di livello “mediocre” perché poco incline all’acquisto di prodotti ad alto valore aggiunto. Le responsabilità che un servizio pubblico ha nei confronti del Paese (rappresentarlo interamente, soddisfarne la domanda di cultura – alta o bassa che sia – informare e comunicare) non esiste più.
• Si indica nella “riorganizzazione strategica canali-generi-fasce” la soluzione che dovrebbe traghettare la RAI dentro un nuovo modello industriale. Nei fatti si dà vita a nuove super-direzioni (che avranno il controllo finanziario su ciò che va in onda, dunque un controllo di fatto sulle stesse scelte editoriali) che ridimensionano drasticamente l’autonomia culturale delle reti.
• Si propone una “razionalizzazione dell’area News” che è propedeutica a tagli drastici del personale e la chiusura e il ridimensionamento degli Uffici di corrispondenza (quali?)
• Si richiede una “revisione degli istituti contrattuali RAI” con l’intento di frammentare e parcellizzare le figure contrattuali a discapito dei nuovi assunti e dei precari.
• Si esternalizzano settori strategici (torri di trasmissione) ipotizzandone la cessione ad altri operatori (chi?).
• Si esternalizzano le “aree non-core” identificate, di seguito, nei settori: Servizi generali, ICT, Amministrazione, abbonamenti, Paghe e contributi senza indicare quanti sarebbero i lavoratori interessati. La sede di Torino è già alle prese con un processo di ridimensionamento che prevede la chiusura di interi comparti.
• Si riducono (ma di fatto si azzerano) le Riprese Esterne.
• Nessuna risposta (se non l’assorbimento di Rainet) al mancato presidio di Internet. Oggi il sito www.rai.it non svolge alcun compito proprio di un grande servizio pubblico. E’ un sito-vetrina, del tutto pleonastico e privo di interesse. I dati audiweb parlano chiaro (oltre il 40° posto nella classifica dei siti più visitati) e il confronto con i siti delle altre emittenti pubbliche europee è semplicemente imbarazzante.

In sostanza si prefigura un Piano Industriale che prevede tagli ed esternalizzazioni con ricadute pesanti sul piano occupazionale. Quanti saranno, al termine di questo processo, i posti di lavoro perduti? E’ evidente che, così stando le cose, gli incentivi al pre-pensionamento non saranno sufficienti.
Sarà una RAI più piccola e ridimensionata, sempre più marginale, certo non più competitiva o in grado di riqualificarsi. Il servizio pubblico radiotelevisivo scompare, se non nella parte destinata a soddisfare gli appetiti di questa o quella forza politica, e la percezione della sua importanza nella società civile è sempre più indebolita. E’ un processo che va avanti da anni e che è stato perseguito con cinica determinazione.
A tutto questo noi diciamo NO.
Chiediamo a tutte le sigle sindacali, rappresentative di tutti i comparti aziendali e di tutte le figure professionali, di esprimere il massimo di unità possibile. Non è il momento di traccheggiare, di cercare accordi al ribasso, perché è in gioco il destino della RAI. Serve una visione complessiva e strategica, la capacità di guardare lontano e di prefigurare un futuro migliore e diverso per la nostra azienda.

Il Movimento dei Lavoratori RAI


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