COMUNICATO RSU
Ieri siamo finalmente venuti a conoscenza delle linee guida del piano industriale RAI.
Purtroppo le indiscrezioni trapelate nei mesi scorsi, si sono rivelate esatte.
Le premesse sono desolanti: il modello di sistema radiotelevisivo di riferimento è quello del competitore privato, il ruolo che viene dato alla RAI è di riempitivo marginale del sistema tv nazionale, gregario delle pay-tv, rinunciando così al ruolo di “spina dorsale” dell’ offerta tv.
Sintomatico è il fatto che non vengano mai citate nel quadro di riferimento le parole servizio pubblico, né tantomeno il contratto di servizio.
Il modello proposto ricalca le esigenze di un ristretto gruppo dirigente, orientato ad un governo “oligarchico” e finanziario della RAI, visto come collettore di risorse economiche, che controlli una filiera esterna di produttori di contenuti.
Per fare questo si mortificano le risorse interne, si tenta di esternalizzare interi settori, si aumentano gli appalti, si rinuncia ad investire in adeguamento tecnologico ed innovazione che sono le premesse necessarie per un progetto a lungo termine.
Le operazioni relative al contenimento dei costi sono di pura facciata, non si toccano le sacche di privilegio, non si mette in discussione l’inutilità di strutture create ad “personam”, si fa largo uso di consulenze inutili e/o dannose, non si ha l’orgoglio di difendere una struttura editoriale pluralista e indipendente dal controllo dei partiti.
La RAI ha interpretato nella vita della Nazione la possibilità di tutti i cittadini di riuscire ad accedere a contenuti e tecnologie altrimenti riservati a pochi.
Negare, nei fatti, la possibilità di partecipare attivamente alle nuove piattaforme multimediali, alla rete per tutti, significa rinunciare a quel ruolo di garanzia contro l’emarginazione tecnologica, informativa e culturale dei nuovi media, significa impedire agli abbonati, veri editori oltre che fruitori del servizio pubblico il diritto gratuito di accedere a risorse che non possono essere soggette alle regole del mercato, men che meno a quello pubblicitario.
Dietro al progetto delle esternalizzazioni, che sono previste soprattutto in periferia ed in particolare a Torino vediamo enormi manovre speculative, la dismissione di strumenti strategici, l’intenzione palese di svendere ai concorrenti il timone amministrativo e le risorse della azienda, tutta la pubblicità ed il controllo del canone.
Si favoleggia di enormi investimenti sull’ Expo 2015, la realtà è che con queste premesse la RAI non arriverà a quella data, smembrata e rivenduta, chi ripagherà di questa rapina “industriale”?
Non riuscendo a controllare al 100% la vita aziendale dall’interno, nonostante la palese “infedeltà di alcuni”, si pensa di svendere strutture portanti come è stato fatto in passato con altri gruppi di interesse pubblico finiti nelle spirali della speculazione.
Così si pensa di cedere il patrimonio dei centri trasmittenti, la rete informatica, il patrimonio immobiliare, la gestione ed il controllo del bilancio, il rapporto fiduciario con gli abbonati.
Si continuano a soffocare le capacità professionali dei CPTV a favore delle produzioni esterne, non si adeguano gli impianti per far collassare gli studi per avere più giustificazioni per esternalizzare.
L’occasione del digitale terrestre, senza le risorse necessarie, nonostante le enormi possibilità tecnologiche connesse e le opportunità di integrare le piattaforme per il servizio pubblico, viene mortificata ed utilizzata per oscurare RAI News24.
Non si intravede, insomma, nessuna strategia a lungo termine che possa far pensare alla possibilità di un reale e duraturo risanamento dell’azienda, qualcosa che possa costituire una garanzia per i prossimi anni a venire. Ciò che emerge chiaramente è il tentativo di scaricare sulla parte più debole, che è rappresentata dai lavoratori, la responsabilità di non saper salvaguardare un patrimonio importantissimo di cui verrebbe privata l’intera società civile di questo Paese.
Denunciamo anche il rischio di essere invischiati in una logica di relazioni industriale dei “gruppi” di lavoro che allungano all’inverosimile i tempi, mentre le operazioni di smantellamento vanno avanti.
La politica, quando non è complice, sembra non comprendere la gravità di questo scempio.
Chiediamo alle OOSS nazionali di dare un segnale forte, che esca dall’ ambito interno per denunciare la rapina che viene fatta sotto gli occhi di tutti gli abbonati fedeli sostenitori del servizio pubblico.
Torino rappresenta uno dei punti di maggior criticità per l’attuazione di questo disegno, non basta una postilla sulla TV dei ragazzi a salvare il CPTV, non bastano le rassicurazioni informali a proteggere Orchestra e Centro Ricerche, non hanno nessun fondamento contabile ed industriale le chimere di esternalizzazione di ICT e delle Direzioni Generali di via Cernaia.
Gli abbonati piemontesi hanno concretamente dimostrato di non tollerare questo smantellamento che parte dalla periferia per travolgere tutta la RAI.
Gli abbonati non staranno a guardare se li chiameremo a difendere il servizio pubblico, a Torino lo hanno dimostrato in piazza al Salone del Libro ed al concerto del 2 giugno, 5000 firme in poche ore!
Perché una RAI migliore non è solo possibile, ma è necessaria all’esercizio della Democrazia nel nostro Paese.
Purtroppo le indiscrezioni trapelate nei mesi scorsi, si sono rivelate esatte.
Le premesse sono desolanti: il modello di sistema radiotelevisivo di riferimento è quello del competitore privato, il ruolo che viene dato alla RAI è di riempitivo marginale del sistema tv nazionale, gregario delle pay-tv, rinunciando così al ruolo di “spina dorsale” dell’ offerta tv.
Sintomatico è il fatto che non vengano mai citate nel quadro di riferimento le parole servizio pubblico, né tantomeno il contratto di servizio.
Il modello proposto ricalca le esigenze di un ristretto gruppo dirigente, orientato ad un governo “oligarchico” e finanziario della RAI, visto come collettore di risorse economiche, che controlli una filiera esterna di produttori di contenuti.
Per fare questo si mortificano le risorse interne, si tenta di esternalizzare interi settori, si aumentano gli appalti, si rinuncia ad investire in adeguamento tecnologico ed innovazione che sono le premesse necessarie per un progetto a lungo termine.
Le operazioni relative al contenimento dei costi sono di pura facciata, non si toccano le sacche di privilegio, non si mette in discussione l’inutilità di strutture create ad “personam”, si fa largo uso di consulenze inutili e/o dannose, non si ha l’orgoglio di difendere una struttura editoriale pluralista e indipendente dal controllo dei partiti.
La RAI ha interpretato nella vita della Nazione la possibilità di tutti i cittadini di riuscire ad accedere a contenuti e tecnologie altrimenti riservati a pochi.
Negare, nei fatti, la possibilità di partecipare attivamente alle nuove piattaforme multimediali, alla rete per tutti, significa rinunciare a quel ruolo di garanzia contro l’emarginazione tecnologica, informativa e culturale dei nuovi media, significa impedire agli abbonati, veri editori oltre che fruitori del servizio pubblico il diritto gratuito di accedere a risorse che non possono essere soggette alle regole del mercato, men che meno a quello pubblicitario.
Dietro al progetto delle esternalizzazioni, che sono previste soprattutto in periferia ed in particolare a Torino vediamo enormi manovre speculative, la dismissione di strumenti strategici, l’intenzione palese di svendere ai concorrenti il timone amministrativo e le risorse della azienda, tutta la pubblicità ed il controllo del canone.
Si favoleggia di enormi investimenti sull’ Expo 2015, la realtà è che con queste premesse la RAI non arriverà a quella data, smembrata e rivenduta, chi ripagherà di questa rapina “industriale”?
Non riuscendo a controllare al 100% la vita aziendale dall’interno, nonostante la palese “infedeltà di alcuni”, si pensa di svendere strutture portanti come è stato fatto in passato con altri gruppi di interesse pubblico finiti nelle spirali della speculazione.
Così si pensa di cedere il patrimonio dei centri trasmittenti, la rete informatica, il patrimonio immobiliare, la gestione ed il controllo del bilancio, il rapporto fiduciario con gli abbonati.
Si continuano a soffocare le capacità professionali dei CPTV a favore delle produzioni esterne, non si adeguano gli impianti per far collassare gli studi per avere più giustificazioni per esternalizzare.
L’occasione del digitale terrestre, senza le risorse necessarie, nonostante le enormi possibilità tecnologiche connesse e le opportunità di integrare le piattaforme per il servizio pubblico, viene mortificata ed utilizzata per oscurare RAI News24.
Non si intravede, insomma, nessuna strategia a lungo termine che possa far pensare alla possibilità di un reale e duraturo risanamento dell’azienda, qualcosa che possa costituire una garanzia per i prossimi anni a venire. Ciò che emerge chiaramente è il tentativo di scaricare sulla parte più debole, che è rappresentata dai lavoratori, la responsabilità di non saper salvaguardare un patrimonio importantissimo di cui verrebbe privata l’intera società civile di questo Paese.
Denunciamo anche il rischio di essere invischiati in una logica di relazioni industriale dei “gruppi” di lavoro che allungano all’inverosimile i tempi, mentre le operazioni di smantellamento vanno avanti.
La politica, quando non è complice, sembra non comprendere la gravità di questo scempio.
Chiediamo alle OOSS nazionali di dare un segnale forte, che esca dall’ ambito interno per denunciare la rapina che viene fatta sotto gli occhi di tutti gli abbonati fedeli sostenitori del servizio pubblico.
Torino rappresenta uno dei punti di maggior criticità per l’attuazione di questo disegno, non basta una postilla sulla TV dei ragazzi a salvare il CPTV, non bastano le rassicurazioni informali a proteggere Orchestra e Centro Ricerche, non hanno nessun fondamento contabile ed industriale le chimere di esternalizzazione di ICT e delle Direzioni Generali di via Cernaia.
Gli abbonati piemontesi hanno concretamente dimostrato di non tollerare questo smantellamento che parte dalla periferia per travolgere tutta la RAI.
Gli abbonati non staranno a guardare se li chiameremo a difendere il servizio pubblico, a Torino lo hanno dimostrato in piazza al Salone del Libro ed al concerto del 2 giugno, 5000 firme in poche ore!
Perché una RAI migliore non è solo possibile, ma è necessaria all’esercizio della Democrazia nel nostro Paese.
RSU Cernaia Giambone
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