Privatizziamo la RAI!!!
Tra le tante iniziative che la neo formazione “Futuro e Libertà” ha messo in cantiere quella che prevede un disegno di legge per la privatizzazione della RAI ha, ovviamente, attirato la nostra benevola attenzione.
I principi ispiratori della proposta sono, in estrema sintesi, questi:
a) Liberare il servizio pubblico dalla presenza ingombrante dei partiti.
b) Fare risparmiare agli abbonati 1,5 miliardi di € di tasse (abolizione del canone).
c) Recuperare dalla vendita della RAI ai privati 3-4 miliardi di €.
d) Togliere il limite della pubblicità alla neonata RAI privata.
e) Mettere una tassa sugli spot.
Anche se a prima vista queste ragioni possono sembrare sensate, come reali sono i problemi del servizio pubblico, meno ragionevole pare la “cura” prospettata.
Entreremo nel merito di tutte le questioni sollevate, ne aggiungeremo, cercheremo di fare una proposta su cui confrontarci, non solo con FeL, ma con tutti gli “attori” coinvolti, primi fra tutti gli abbonati.
Se ci permettete una metafora, per meglio esporre il ragionamento, gli abbonati della RAI sono i proprietari di un enorme “condominio” che si chiama servizio pubblico.
Questo condominio è stato costruito con il sacrificio di tutti gli Italiani, sin dal ventennio con l’EIAR, e poi con la RAI accumulando un notevole patrimonio tecnico, immobiliare e di conoscenza.
Le spese condominiali per l’ordinaria amministrazione vengono pagate dai condomini-abbonati con un canone annuale, il più basso del quartiere europeo.
Quando i soldi non bastano per quanto stabilito dal regolamento condominiale (contratto di servizio) l’ amministratore e i suoi consiglieri attingono ai proventi dei due cartelloni di pubblicità che servono ad integrare i costi della “manutenzione “ ordinaria.
Va detto che l’amministratore e i consiglieri non vengono incaricati dai condomini ma da una entità esterna, spesso impegnata a mantenere altri condomini.
Ebbene, pur partendo da considerazioni da approfondire, la proposta di FeL suona come: visto che non riusciamo a far lavorare correttamente l’amministratore, vi proponiamo una cura radicale, vi liberiamo delle spese condominiali! …..e vendiamo il vostro appartamento…..magari ad un cognato imbecille.
Perché di questo si tratta: con il miraggio di abbassare le tasse si privano i cittadini di un loro bene primario come la comunicazione, quindi invece di liberare la RAI dai laccioli dei partiti la si svende al miglior offerente, come già è stato fatto con la chimica, la siderurgia, l’informatica.
Ma chi è così stupido da non capire che gli unici in grado di competere all’ acquisto di una grande azienda come la RAI possono essere i gruppi di potere economico internazionale, chi entrerà nel cda della good-company? Murdoch, Gheddafi, Putin, i cinesi?
Francamente lo scenario ricorda quel quadro dove uno spettatore distratto dall’illusionista è vittima del complice borsaiolo, sol che qui si parla di 14 milioni di abbonati.
Essere servizio pubblico significa rispondere solo ed esclusivamente ai bisogni minimi di cultura, informazione, formazione e svago necessari per una società moderna, evoluta, solidale e non ultimo democratica.
Ma non perdiamo di vista la premessa, alcuni dei ragionamenti che stanno alla base della proposta sopracitata sono condivisibili.
Che la stretta che i partiti, tutti, praticano nei confronti della azienda sia mortale è un fatto evidente, a questo si aggiunge l’effetto di avere in posti chiave dirigenti direttamente nominati dalla concorrenza, e queste sono cose che devono essere risolte.
Un primo passo potrebbe essere una pubblic company formata dagli abbonati azionisti, dagli enti territoriali, dalle grandi istituzioni culturali e minoritariamente dai partiti.
Un cda professionale, incaricato di stendere piani industriali in accordo con una legge istitutiva che distingua e tuteli tutto ciò che riguarda i doveri del SP, non solo informazione, cultura, indagine, approfondimento, formazione, svago ma anche laboratorio delle nuove tecnologie e forme di comunicazione, con il compito di fare da “ponte” tra le categorie più esposte al digital-divide e i nuovi scenari sociali.
Un bilancio pubblico, chiaro e certificato eticamente.
Un palinsesto che non corra dietro alla tv commerciale, ma autonomamente tuteli non solo la nostra tradizione culturale ma che dia spazio alla sperimentazione, e non sia semplicemente legato al vincolo dell’ auditel.
La tv pubblica non può vedere i fruitori come spettatori inerti né come clienti, la tv pubblica deve rispondere agli utenti di un servizio giudicato essenziale, spesso le isole più o meno famose ci fanno dubitare che svolga il suo ruolo.
Per questo siamo contrari alla abolizione del canone, perché è paradossalmente l’ultimo baluardo affinchè l’abbonato possa lamentarsi della carenza di un servizio che gli è dovuto, qualcuno pensa che mettendo una tassa sugli spot si ottenga la stessa “fidelizzazione”?
Ma poi, i proventi di quella tassa a chi andrebbero se non esiste più una tv pubblica? Cornuti e mazziati, perche il rincaro degli spot si rifletterebbe sui prodotti, il contratto di servizio si potrebbe negoziare con chiunque……vuoi vedere che la TGR passa sotto Canale 5 e io pago di più le sottilette e devo dire ancora grazie alla famiglia Berlusconi per darmi un servizio che è già mio e su cui non potrò più rivendicare nulla?
Vi ricorda niente il sistema di reclami a scatole cinesi che si basa sui call center che non permette di arrivare mai alla cima della catena? Abituatevi all’idea.
Dopo che gli impianti RAI saranno svenduti a qualche amichetto del quartiere nessuno si ricorderà che esisteva una tv pubblica, vi ricordate della telefonia pubblica? Cercate una cabina se riuscite, meglio comprare un telefonino, e le ferrovie dello stato? Nessun problema, o quasi, se andate da Milano a Roma…..provate ad andare da Rho a Biella.
Non è che i bisogni spariscano, basta ignorarli, così il servizio pubblico diventa tv di stato, lontana dai bisogni della gente, omologa della tv commerciale, così se sparisce nessuno se ne accorge.
Poco importa se sulla tv digitale, dove funziona, la gente guardi volentieri RAI Storia o che le rivisitazioni delle Teche RAI siano un patrimonio prezioso, che abbiamo una Orchestra prestigiosa che può essere veicolo importante di cultura, tradizione studio della musica, che il nostro Centro Ricerche abbia applicazioni che implementate permetterebbero realmente di sfruttare il digitale terrestre gratuitamente mentre ora è monopolizzato dai servizi a pagamento della concorrenza.
Dalle parole degli onorevoli che accompagnano la proposta non viene nascosto il disprezzo nei confronti del DG ed alcuni Direttori di TG, non è inutile ricordare che quelle nomine sono state fatte a su tempo dai partiti, che la RAI è meglio di come viene rappresentata e se la politica riesce a vedere solo i direttori dei TG è perché è abituata a guardare solo il proprio ombelico….quando non solo la propria pancia.
Una RAI migliore è possibile, più di qualità, non sprecona, di informazione plurale, legata al territorio tutto, in grado di produrre ed interpretare i cambiamenti, di supporto ai più indifesi non solo economicamente, in collaborazione con la scuola, la ricerca, gli enti culturali.
I lavoratori della RAI che si identificano nel movimento “La Rai siamo Noi” accettano la sfida e si propongono di fare la loro parte, ma da parte della politica tutta c’è bisogno di un atteggiamento diverso, chi accetta la sfida?
I principi ispiratori della proposta sono, in estrema sintesi, questi:
a) Liberare il servizio pubblico dalla presenza ingombrante dei partiti.
b) Fare risparmiare agli abbonati 1,5 miliardi di € di tasse (abolizione del canone).
c) Recuperare dalla vendita della RAI ai privati 3-4 miliardi di €.
d) Togliere il limite della pubblicità alla neonata RAI privata.
e) Mettere una tassa sugli spot.
Anche se a prima vista queste ragioni possono sembrare sensate, come reali sono i problemi del servizio pubblico, meno ragionevole pare la “cura” prospettata.
Entreremo nel merito di tutte le questioni sollevate, ne aggiungeremo, cercheremo di fare una proposta su cui confrontarci, non solo con FeL, ma con tutti gli “attori” coinvolti, primi fra tutti gli abbonati.
Se ci permettete una metafora, per meglio esporre il ragionamento, gli abbonati della RAI sono i proprietari di un enorme “condominio” che si chiama servizio pubblico.
Questo condominio è stato costruito con il sacrificio di tutti gli Italiani, sin dal ventennio con l’EIAR, e poi con la RAI accumulando un notevole patrimonio tecnico, immobiliare e di conoscenza.
Le spese condominiali per l’ordinaria amministrazione vengono pagate dai condomini-abbonati con un canone annuale, il più basso del quartiere europeo.
Quando i soldi non bastano per quanto stabilito dal regolamento condominiale (contratto di servizio) l’ amministratore e i suoi consiglieri attingono ai proventi dei due cartelloni di pubblicità che servono ad integrare i costi della “manutenzione “ ordinaria.
Va detto che l’amministratore e i consiglieri non vengono incaricati dai condomini ma da una entità esterna, spesso impegnata a mantenere altri condomini.
Ebbene, pur partendo da considerazioni da approfondire, la proposta di FeL suona come: visto che non riusciamo a far lavorare correttamente l’amministratore, vi proponiamo una cura radicale, vi liberiamo delle spese condominiali! …..e vendiamo il vostro appartamento…..magari ad un cognato imbecille.
Perché di questo si tratta: con il miraggio di abbassare le tasse si privano i cittadini di un loro bene primario come la comunicazione, quindi invece di liberare la RAI dai laccioli dei partiti la si svende al miglior offerente, come già è stato fatto con la chimica, la siderurgia, l’informatica.
Ma chi è così stupido da non capire che gli unici in grado di competere all’ acquisto di una grande azienda come la RAI possono essere i gruppi di potere economico internazionale, chi entrerà nel cda della good-company? Murdoch, Gheddafi, Putin, i cinesi?
Francamente lo scenario ricorda quel quadro dove uno spettatore distratto dall’illusionista è vittima del complice borsaiolo, sol che qui si parla di 14 milioni di abbonati.
Essere servizio pubblico significa rispondere solo ed esclusivamente ai bisogni minimi di cultura, informazione, formazione e svago necessari per una società moderna, evoluta, solidale e non ultimo democratica.
Ma non perdiamo di vista la premessa, alcuni dei ragionamenti che stanno alla base della proposta sopracitata sono condivisibili.
Che la stretta che i partiti, tutti, praticano nei confronti della azienda sia mortale è un fatto evidente, a questo si aggiunge l’effetto di avere in posti chiave dirigenti direttamente nominati dalla concorrenza, e queste sono cose che devono essere risolte.
Un primo passo potrebbe essere una pubblic company formata dagli abbonati azionisti, dagli enti territoriali, dalle grandi istituzioni culturali e minoritariamente dai partiti.
Un cda professionale, incaricato di stendere piani industriali in accordo con una legge istitutiva che distingua e tuteli tutto ciò che riguarda i doveri del SP, non solo informazione, cultura, indagine, approfondimento, formazione, svago ma anche laboratorio delle nuove tecnologie e forme di comunicazione, con il compito di fare da “ponte” tra le categorie più esposte al digital-divide e i nuovi scenari sociali.
Un bilancio pubblico, chiaro e certificato eticamente.
Un palinsesto che non corra dietro alla tv commerciale, ma autonomamente tuteli non solo la nostra tradizione culturale ma che dia spazio alla sperimentazione, e non sia semplicemente legato al vincolo dell’ auditel.
La tv pubblica non può vedere i fruitori come spettatori inerti né come clienti, la tv pubblica deve rispondere agli utenti di un servizio giudicato essenziale, spesso le isole più o meno famose ci fanno dubitare che svolga il suo ruolo.
Per questo siamo contrari alla abolizione del canone, perché è paradossalmente l’ultimo baluardo affinchè l’abbonato possa lamentarsi della carenza di un servizio che gli è dovuto, qualcuno pensa che mettendo una tassa sugli spot si ottenga la stessa “fidelizzazione”?
Ma poi, i proventi di quella tassa a chi andrebbero se non esiste più una tv pubblica? Cornuti e mazziati, perche il rincaro degli spot si rifletterebbe sui prodotti, il contratto di servizio si potrebbe negoziare con chiunque……vuoi vedere che la TGR passa sotto Canale 5 e io pago di più le sottilette e devo dire ancora grazie alla famiglia Berlusconi per darmi un servizio che è già mio e su cui non potrò più rivendicare nulla?
Vi ricorda niente il sistema di reclami a scatole cinesi che si basa sui call center che non permette di arrivare mai alla cima della catena? Abituatevi all’idea.
Dopo che gli impianti RAI saranno svenduti a qualche amichetto del quartiere nessuno si ricorderà che esisteva una tv pubblica, vi ricordate della telefonia pubblica? Cercate una cabina se riuscite, meglio comprare un telefonino, e le ferrovie dello stato? Nessun problema, o quasi, se andate da Milano a Roma…..provate ad andare da Rho a Biella.
Non è che i bisogni spariscano, basta ignorarli, così il servizio pubblico diventa tv di stato, lontana dai bisogni della gente, omologa della tv commerciale, così se sparisce nessuno se ne accorge.
Poco importa se sulla tv digitale, dove funziona, la gente guardi volentieri RAI Storia o che le rivisitazioni delle Teche RAI siano un patrimonio prezioso, che abbiamo una Orchestra prestigiosa che può essere veicolo importante di cultura, tradizione studio della musica, che il nostro Centro Ricerche abbia applicazioni che implementate permetterebbero realmente di sfruttare il digitale terrestre gratuitamente mentre ora è monopolizzato dai servizi a pagamento della concorrenza.
Dalle parole degli onorevoli che accompagnano la proposta non viene nascosto il disprezzo nei confronti del DG ed alcuni Direttori di TG, non è inutile ricordare che quelle nomine sono state fatte a su tempo dai partiti, che la RAI è meglio di come viene rappresentata e se la politica riesce a vedere solo i direttori dei TG è perché è abituata a guardare solo il proprio ombelico….quando non solo la propria pancia.
Una RAI migliore è possibile, più di qualità, non sprecona, di informazione plurale, legata al territorio tutto, in grado di produrre ed interpretare i cambiamenti, di supporto ai più indifesi non solo economicamente, in collaborazione con la scuola, la ricerca, gli enti culturali.
I lavoratori della RAI che si identificano nel movimento “La Rai siamo Noi” accettano la sfida e si propongono di fare la loro parte, ma da parte della politica tutta c’è bisogno di un atteggiamento diverso, chi accetta la sfida?
Torino 19.10.2010
RSU RAI Torino – Cernaia/Giambone
RSU RAI Torino – Cernaia/Giambone
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