L’assalto alla Rai è ormai diventato lo sport quotidiano di questo paese.
La sensazione è che lo si stia conducendo con tre obiettivi: impoverirla, normalizzarla, dequalificarla.
Non è un mistero che il dg Mauro Masi, con una straordinaria tempestività, e appena nominato, ha rinunciato a 50 milioni del contratto Sky, tra l’altro rendendo evidente un problema molto delicato, perché è assai discutibile che un servizio pubblico non stia dietro il clic di ogni telecomando e dunque dentro tutte le piattaforme. Che significa questa rinuncia a fronte di una situazione di bilancio in discesa e sempre più preoccupante? Ricordiamo sempre che la Rai riesce a chiudere i suoi bilanci solo attraverso vecchi trucchi contabili, a cominciare dagli ammortamenti. Siamo in una fase di crisi acuta, com’è noto, e ci riesce difficile incontrare un manager che rinuncia a ricavi per nulla inconsistenti. Si sa come sarebbe finita in qualsiasi azienda di questo paese e del mondo. Ovviamente è superfluo ricordare che il contratto dei dipendenti è scaduto da 22 mesi. Praticamente siamo alla vigilia del nuovo contratto senza aver rinnovato il precedente. Significherà qualcosa se un gruppo così importante non riesce a fare il contratto? Interessa qualcuno? Ovviamente la campagna contro l’abbonamento, che trae linfa dai giudizi e dai comportamenti di rappresentanti del governo e della maggioranza, non è solo stupida: è pericolosa. In questo momento, dentro la maggioranza sembrano coesistere due linee: chi vuole tagliare il canone (la Lega), e chi la pubblicità in obbedienza al servizio pubblico (dentro il PDL). Ci limitiamo solo ad osservare come tutte e due le proposte alla fine centrano lo stesso obiettivo: quello di portare i libri in tribunale! La Rai, per i distratti o per i superficiali, incassa metà ricavi dal canone e, dunque, metà per pubblicità. La verità è che, a prenderli sul serio, il fine ultimo non può che essere l’esistenza stessa dell’azienda, ormai sostanzialmente e formalmente subalterna, così come La7, al gruppo Mediaset; ed il direttore generale fin qui ha mostrato di assecondare questo progetto.
Allora i conti tornano. La manovra è a tenaglia: impoverire e normalizzare al fine di emarginare; dequalificare, e le nomine ne sono un chiaro esempio, al fine di ridurre la tv pubblica a soggetto marginale.
Queste le nostre preoccupazioni e questo il motivo anche del nostro impegno. Per l’informazione, per la tv pubblica, per un mercato realmente aperto cui nessuna authority ha il coraggio, a differenza di altri mercati, di regolare. Ma di questo parleremo più avanti.
La sensazione è che lo si stia conducendo con tre obiettivi: impoverirla, normalizzarla, dequalificarla.
Non è un mistero che il dg Mauro Masi, con una straordinaria tempestività, e appena nominato, ha rinunciato a 50 milioni del contratto Sky, tra l’altro rendendo evidente un problema molto delicato, perché è assai discutibile che un servizio pubblico non stia dietro il clic di ogni telecomando e dunque dentro tutte le piattaforme. Che significa questa rinuncia a fronte di una situazione di bilancio in discesa e sempre più preoccupante? Ricordiamo sempre che la Rai riesce a chiudere i suoi bilanci solo attraverso vecchi trucchi contabili, a cominciare dagli ammortamenti. Siamo in una fase di crisi acuta, com’è noto, e ci riesce difficile incontrare un manager che rinuncia a ricavi per nulla inconsistenti. Si sa come sarebbe finita in qualsiasi azienda di questo paese e del mondo. Ovviamente è superfluo ricordare che il contratto dei dipendenti è scaduto da 22 mesi. Praticamente siamo alla vigilia del nuovo contratto senza aver rinnovato il precedente. Significherà qualcosa se un gruppo così importante non riesce a fare il contratto? Interessa qualcuno? Ovviamente la campagna contro l’abbonamento, che trae linfa dai giudizi e dai comportamenti di rappresentanti del governo e della maggioranza, non è solo stupida: è pericolosa. In questo momento, dentro la maggioranza sembrano coesistere due linee: chi vuole tagliare il canone (la Lega), e chi la pubblicità in obbedienza al servizio pubblico (dentro il PDL). Ci limitiamo solo ad osservare come tutte e due le proposte alla fine centrano lo stesso obiettivo: quello di portare i libri in tribunale! La Rai, per i distratti o per i superficiali, incassa metà ricavi dal canone e, dunque, metà per pubblicità. La verità è che, a prenderli sul serio, il fine ultimo non può che essere l’esistenza stessa dell’azienda, ormai sostanzialmente e formalmente subalterna, così come La7, al gruppo Mediaset; ed il direttore generale fin qui ha mostrato di assecondare questo progetto.
Allora i conti tornano. La manovra è a tenaglia: impoverire e normalizzare al fine di emarginare; dequalificare, e le nomine ne sono un chiaro esempio, al fine di ridurre la tv pubblica a soggetto marginale.
Queste le nostre preoccupazioni e questo il motivo anche del nostro impegno. Per l’informazione, per la tv pubblica, per un mercato realmente aperto cui nessuna authority ha il coraggio, a differenza di altri mercati, di regolare. Ma di questo parleremo più avanti.
Roma, 29 settembre 2009
Nessun commento:
Posta un commento